mercoledì 9 dicembre 2009

L’Utopia di Tommaso Moro in una borsa di coccodrillo

Nell’estate del 1986 Silvio Berlusconi concede un’intervista a Canale 5, di cui è proprietario.
Intervistatrice: «Lei è anche un grande studioso dei classici».
Il Cavaliere: «Ma no, non dica così».
Lei: «Sì, invece, non faccia il modesto. Lei, dottore, ha appena pubblicato un’edizione pregiata dell’Utopia di Tommaso Moro, con una bellissima prefazione e una perfetta traduzione dal latino...»
Cavaliere: «Be’, in effetti il latino non lo conosciamo tutti, bisogna tradurlo...»
Luigi Firpo, 71 anni, studioso della storia rinascimentale, monumento di erudizione, cattedra di Storia delle dottrine politiche all’Università di Torino, è in vacanza e sta facendo zapping. Quando l’intervistatrice legge alcune righe della prefazione di Berlusconi, l’anziano professore la riconosce immediatamente come sua, appena data alle stampe per l’editore Guida di Napoli.
Riesce ad avere una copia edita dalla Silvio Berlusconi Communication e osserva che Berlusconi ha copiato interi brani della prefazione e della traduzione. Scrive a Berlusconi intimandogli di ritirare tutte le copie. Berlusconi telefona scusandosi e accusando una segretaria disattenta.
Il vecchio professore minaccia di portarlo in tribunale. Berlusconi cerca di blandirlo, gli telefona un giorno sì e uno no, per sei mesi, raccontandogli barzellette. Lo invita a Canale 5 per parlare del papa. Berlusconi è dietro le quinte con una busta di denaro «per il suo disturbo e l’onore che ci fa», che il professore sdegnosamente rifiuta. Berlusconi continua: per Natale gli regala una valigetta ventiquattrore in pelle di coccodrillo con le cifre LF in oro, un enorme mazzo di orchidee e un biglietto: «Per carità, non mi rovini». Firpo manda tutto indietro con un biglietto: «Preferisco la mia vecchia borsa sdrucita. Quanto ai fiori, per me e mia moglie, i fiori tagliati sono organi sessuali recisi».

Da “Patria 1978-2008” di Enrico Deaglio. p. 222



sabato 4 luglio 2009

L'Avvenire di ieri e di oggi...

Approvato lo spaventoso DDL Sicurezza. Clandestini criminali, riorganizzazione del partito fascista per le strade e tutto il resto. 

Sul tema invito a leggere l'editoriale di Piero Chinellato, su Avvenire di ieri (03.07.09), per poi metterelo a confronto con il suo editoriale di oggi...

Ieri non riusciva a "dare una valutazione univoca [della legge]". Oggi scrive un editoriale il cui titolo è "Legge sbilanciata che già mostra crepe".
Leggere Avvenire è un'esperienza davvero grottesca...
Io lo faccio quasi ogni giorno, probabilmente per tendenze autolesioniste.

Seguono i due editoriali.

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3 Luglio
Il varo delle nuove norme sulla sicurezza

MESSA ALLA PROVA DI UN PACCHETTO DIVERSIFICATO


«È una legge chiesta dal popolo»: sono le parole con le quali la maggioranza, ad approvazione definitiva avvenuta, mostra di voler subito incassare il «dividendo» del consenso al disegno di legge sulla sicurezza. Un sospiro di sollievo accompagnato dalla speranza che il risultato contribuisca a dissolvere alcune nubi addensatesi nelle ultime settimane.

Impossibile però negare che alla richiesta di maggiore sicurezza che emerge dal Paese, la risposta fornita dalla maggioranza parlamentare si declina attraverso un ventaglio di misure dal valore e dal peso assai diversificato. Si va infatti dall’introduzione del reato di clandestinità, alle ronde, al contrasto alle infiltrazioni mafiose, alla legalizzazione degli spray al peperoncino per autodifesa...: una varietà che rende impossibile una valutazione univoca, come peraltro abbiamo già avuto modo di segnalare in concomitanza col compiersi delle tappe dell’esame parlamentare.

Il testo approvato è tal quale quello licenziato dalla Camera. L’approvazione con voto di fiducia ha cristallizzato le scelte, confermando anche le parti che più avevano sollevato reazioni contrarie, dubbi, interrogativi. È così rimasto il reato di clandestinità, avversato fin dal primo annuncio da molti tra coloro che vivono a contatto con la realtà delle persone immigrate. Sembra fugato il timore di medici-spia e presidi-spia – e speriamo di non essere smentiti nei prossimi mesi – ma da più parti ancora ieri venivano avanzate domande e perplessità – non sempre ideologiche, spesso concrete, misurate sulle situazioni tante volte affiorate dalle pagine della cronaca – che abbiamo ripetutamente ricordato nei mesi scorsi.
Come si chiedeva Marco Tarquinio («Costruire legalità non muri da scavalcare», 6 maggio): «È concepibile immaginare questa società, la nostra società, tenuta insieme per sospetto e con fatica, da un reticolato di muri e muretti da vigilare e da saltare?».

Nessuno può fingere di ignorare le sollecitazioni, i problemi, le urgenze che rendono spesso arduo l’equilibrio tra sicurezza e integrazione. Come ricordava il card. Bagnasco in apertura della recente Assemblea Cei: «L’immigrazione è una realtà magmatica: se non la si governa, si finisce per subirla. E la risposta non può essere solamente di ordine pubblico, anche se è necessario mettere in chiaro diritti e doveri».

La tutela della legalità non può mai dare l’impressione di sconfinare in ostilità, e che andrebbe combattuto anche il solo sospetto che questa in definitiva possa essere la trama che sottende a iniziative legislative. L’immigrazione è un fenomeno di cui prendere atto e da affrontare con equilibrio. E l’obiettivo deve restare quello di un’integrazione in cui alla richiesta di accettazione delle nostre regole si accompagni l’offerta di una vita serena e di una dignità umana tutelata. C’è quindi da augurarsi che, ad esempio, ci si salvaguardi adeguatamente e, se necessario, con severità, contro l’eventualità di «ronde» che debordino dalle limitatissime competenze loro attribuite o che manifestino tendenze e propensioni pericolose.

Detto questo, va dato atto al pacchetto sicurezza del varo anche di misure concrete di contrasto della criminalità organizzata, tra le quali, ad esempio, l’ampliamento dei poteri dei prefetti in relazione all’assegnazione dei beni confiscati ai boss. Iniziativa che consentirà probabilmente una forte accelerazione delle procedure, realizzando un formidabile deterrente contro mafiosi e camorristi che temono la perdita del denaro e degli immobili più di quella della libertà. Si dà così risposta a una richiesta sollecitata proprio da chi è in prima linea nella lotta contro mafia, camorra e ’ndrangheta.

Piero Chinellato


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4 Luglio
Il dato punitivo prevale sul legalitario

LEGGE SBILANCIATA CHE GIA' MOSTRA CREPE


Fin dalla gestazione era emerso che il disegno di legge sulla sicurezza avrebbe toccato punti nevralgici per la convivenza civile del nostro Paese. Perciò, anche da questo giornale, si è vigilato e, di passo in passo, commentato. Si è cercato di sollecitare l’attenzione sui punti più critici, perché la classe politica potesse far tesoro delle tante esperienze condotte sul campo e nel Paese, disponendo di un quadro più articolato ed equilibrato del sentire della nostra gente. La legalità è esigenza imprescindibile che non si afferma a scapito dell’accoglienza. Come l’accoglienza ha bisogno della legalità per non degenerare.

A questi due valori siamo rimasti solidamente ancorati. Siamo stati dall’inizio consapevoli che il crinale su cui camminava il provvedimento era insidioso e che non mancava chi lo considerava come l’occasione per « rimettere gli immigrati al loro posto » , cioè per risolvere sbrigativamente i problemi provocati dall’immigrazione clandestina con misure di ordine pubblico e con provvedimenti giudiziari. Dai vescovi, poi, come ha ricordato ieri don Domenico Pompili, portavoce della Cei, nell’Assemblea generale dello scorso mese di maggio, in merito all’immigrazione si è « concordato sul fatto che si tratta di un fenomeno assai complesso, che proprio per questo deve essere governato e non subito.

È peraltro evidente che una risposta dettata dalle sole esigenze di ordine pubblico – che è comunque necessario garantire in un corretto rapporto tra diritti e doveri – risulta insufficiente, se non ci si interroga sulle cause profonde di un simile fenomeno » . Il risultato finale del lavoro legislativo è stato un testo caratterizzato da luci e ombre – da noi puntualmente rilevate – che ora si avvia alla verifica dei fatti. Dobbiamo però constatare come ai segnali di allarme sulle possibili derive xenofobe, recisamente escluse dal governo, si associno rilievi sempre più incalzanti su concretissimi rischi di conseguenze inaccettabili.

C’è ad esempio l’allarme che viene dall’assessore regionale veneto alle politiche sociali Valdegamberi, subissato di telefonate da parte di persone che danno lavoro a badanti « irregolari » . È lui – esponente del centrodestra – ad affermare che « le badanti, comprese quelle irregolari, rappresentano uno dei pilastri del sistema dei servizi domiciliari per le persone non autosufficienti. Invece di essere punito come reato questo fondamentale lavoro sommerso dovrebbe uscire alla luce ed essere regolarizzato a maggior tutela delle nostre famiglie » .

Ma questo adesso non potrà avvenire. Ci sono poi i problemi, come quello dei figli nati in Italia da genitori irregolari, di cui scriviamo nelle pagine interne. È vero che alla madre che partorisce è garantito un permesso di soggiorno di 6 mesi « per motivi di salute » , ma alla scadenza questo non può essere rinnovato e quindi si sta già manifestando la tendenza a evitare il ricovero, con tutti i pericoli conseguenti. I neonati addirittura rischiano di diventare « invisibili » , in quanto l’ufficiale di stato civile non potrà ricevere la dichiarazione di nascita se i genitori sono irregolari.

È inoltre impossibile effettuare le pubblicazioni matrimoniali se uno dei nubendi non dispone di permesso di soggiorno ( restrizione che vale anche, ad esempio, per il matrimonio tra un italiano e una statunitense o una giapponese). Ancora, non viene più garantito il diritto all’iscrizione alle scuole superiori per figli di immigrati privi di permesso di soggiorno.

Si tratta di esiti che sembrano confermare una virata tale da tramutare la politica di gestione legale dell’immigrazione in un complesso di misure punitive e in qualche caso addirittura persecutorie. Un esito che scongiuriamo, convinti che non ci si possa sottrarre dall’individuare spazi e strumenti in grado di evitare che i rischi sopra denunciati possano effettivamente e drammaticamente, a questo punto, concretizzarsi.

Piero Chinellato